lunedì, ottobre 30, 2006

 

LA RESISTENZA E IL MAL DI PANSA


Dopo aver assistito qualche sera fa alla trasmissione di "Porta a Porta" in cui si dibatteva sull'ultimo libro di Pansa "La grande bugia", ci si sente sollevati nel leggere la lettera che Armando Cossutta ha ritenuto doveroso far pervenire al Corriere della Sera; non solo perchè ristabilisce una verità storica imbrattata dal "grande mistificatore", ma anche in considerazione del comportamento di alcuni degli ospiti in studio, dai quali, francamente, ci saremmo aspettati qualcosa di meglio. Ci riferiamo, in particolare, a Sandro Curzi, il cui atteggiamento è stato, francamente, penoso: remissivo, compiacente, tutto sorrisi e moine, ha avallato, di fatto, ciò che Pansa, con l'appoggio di Vespa, andava sostenendo, limitandosi a qualche flebile e marginale "distinguo". Per non dispiacere l'illustre scrittore, ha perfino negato di aver, in passato, definito Pansa un voltagabbana; probabilmente, l'essere nel Consiglio d'Amministrazione della RAI ha contribuito a frenarne la lingua e limitarne il pensiero, certo è che non si è trattato di uno spettacolo edificante.
Anche Rizzo (PdCI), pur contestando, anche vivacemente, le tesi di fondo sostenute nel libro di Pansa, lo ha fatto, a nostro avviso, più rispolverando luoghi comuni, frasi fatte e slogan, piuttosto che sulla base di un ragionamento ben articolato.
Per tutto questo, ci sentiamo di dire doppiamente grazie al vecchio Cossutta, riproponendo integralmente la sua lettera al "Corsera".
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dal "Corriere della Sera" del 30 ottobre 2006
Pansa sui partigiani ha scritto due grandi bugie
di Armando Cossutta
Caro direttore, non avevo nessuna intenzione di occuparmi dei pamphlet di Giampaolo Pansa sulla Resistenza: c'è un eccesso di disinvoltura ai miei occhi tanto nella loro costruzione quanto nelle modalità della pubblicizzazione, e in me è forte il sospetto che nascano soprattutto come ciniche operazioni commerciali. Comunque — e ancor più dopo la trasmissione di Vespa, che a Pansa somiglia nel modo di trattare cultura e storia — il pesante ammiccamento a quella parte di società che inclina alla leggerezza dei giudizi nonché al consumo indifferenziato e irresponsabile delle opinioni non è revisionismo, è atto reazionario. Che mi induce a dire due parole. Non contesto, sia chiaro, gli episodi cui Pansa collega il suo argomentare: casi di violenza anche grave, da condannare anche da parte di chi è un po' più consapevole di quanto non lo sia l'autore del clima e del contesto: il dopoguerra di una guerra atroce. Il punto è un altro, anzi, sono due: due grandi bugie. La prima consiste nel negare alla Resistenza il suo carattere popolare, quando è evidente che senza la simpatia e la solidarietà di tanta parte della popolazione essa non avrebbe potuto neppure nascere. Che cosa furono i grandi scioperi operai del marzo del '44, gli unici in tutta Europa sotto l'occupazione nazista? Me lo ricordo, il silenzio improvviso di quel mattino, dalla mia cella nel sesto raggio di San Vittore, e poi l'urlo di gioia di noi detenuti: i tram si erano fermati! Che cos'erano gli operai: una banda? Per non parlare dei rapporti tra la Resistenza e i contadini, le direttive impartite circa il rispetto delle famiglie, delle donne in particolare, nonché dei beni, direttive sostenute da sanzioni pesanti. E gli intellettuali? Marchesi, Banfi, Vittorini... Inoltre, negare il carattere popolare della Resistenza porta a cancellare anche il suo ruolo di riscatto nazionale: se infatti il sostegno popolare fosse stato assente, De Gasperi non avrebbe potuto recarsi a testa alta a Parigi, alla Conferenza della Pace, e avremmo avuto lo stesso trattamento che ebbe la Germania. La seconda grande bugia riguarda il ruolo svolto dai comunisti e i loro intenti. Certo, i comunisti hanno dato un grande contributo alla Resistenza. Ne hanno tratto prestigio ma insieme hanno risposto al bisogno dell'Italia. E ne hanno pagato l'altissimo prezzo. Il senso del loro contributo diventa evidente se si pensa al loro impegno profondamente unitario, a partire dalla realizzazione del comando unico del Corpo Volontari della Libertà, cosa che non avvenne nemmeno nella ben grande Resistenza jugoslava. E continua a chiarirsi dopo la Liberazione con la tessitura di una rete articolatissima di organismi di educazione e partecipazione alla democrazia, dai Consigli di gestione ai Comitati per la terra, per il lavoro, per la rinascita del Mezzogiorno. E per la pace: sarebbe così radicato nelle coscienze l'articolo 11 della Costituzione senza quest'opera costruttiva dei comunisti? Si operò con successo a immettere il movimento operaio nelle istituzioni democratiche, così come De Gasperi vi portava i cattolici. Dice qualcosa a qualcuno la togliattiana svolta di Salerno? Cancellare dalla scrittura della storia tutto questo, non capirne il valore, è segno di incultura. E volontà di diffonderla. Solo per questo ho voluto scriverne.

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