sabato, ottobre 07, 2006

 

VIVO O MORTO ?


Ciclicamente, di fronte a qualche caso particolarmente eclatante, si riapre il dibattito sull'eutanasia. Giuristi, politici, religiosi, opinionisti, tuttologi, psicanalisti da salotto, insomma il meglio del meglio (?), si producono in una sorta di balletto o gioco delle parti sulla pelle dei poveri cristi che la sofferenza e l'angoscia la vivono veramente e che nulla ricaveranno da questo bla bla collettivo.
Lo straziante video che Piergiorgio Welby ha inviato al Presidente della Repubblica, ha rimesso in moto questo meccanismo perverso, scatenando un'orgia di articoli sui giornali e di servizi sulle televisioni, alcuni dei quali, diciamolo francamente, di una disonestà intellettuale tale da provocare in noi un moto di ribellione.
Tra le cose che più ci hanno fatto incazzare, non possiamo non citare quel voler contrapporre, artificiosamente, il malato che ha scelto di continuare a lottare, pur nello stato semi-vegetativo in cui si trova, al malato che, come Welby, ha deciso di interrompere una vita che più vita non è; l'artificio consiste nel voler far credere che da una parte si celebra il rito della vita, in tutto il suo pregnante significato gioioso, dall'altra una cupa cultura della morte, in spregio a qualsivoglia senso etico e morale.
E' la stessa operazione, se ci pensate bene, che si portò avanti in passato anche per altre situazioni, ad esempio per l'introduzione della legge sull'aborto, laddove si cercò di convincerci che gli abortisti fossero un branco di assassini che disprezzavano la vita e che propagandavano la morte, in contrapposizione agli antiabortisti, loro sì cultori del rispetto di qualsiasi forma di vita.
Ora, riguardatevi il filmato di Welby e chiedetevi se rinvenite in esso traccia di un disprezzo per la vita, chiedetevi se traspare una cultura di morte o se, al contrario, non si colga la volontà estrema di rispettare la dignità della persona fino a quel confine, oltrepassato il quale, la definizione di vita perde il suo significato.
Rispetto, dunque, e libera scelta per chi, in tali determinate condizioni, vuol vivere o morire: la nostra vita non è, come qualcuno vorrebbe farci credere, una sorta di demanio, un "patrimonio indisponibile" riservato ad altri che possono arrogarsi il diritto di decidere per noi.

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